Rispondo a Marina, che mi ha scritto.
Non entro nel discorso della formazione di classi con 30
alunni con 4 alunni con disabilità e un DSA. E non discuto del fatto che
possano essere eletti “rappresentanti di classe “anche gli alunni che hanno
avuto dei provvedimenti disciplinari. Sarebbe troppo lungo.
Mi interessa invece il rapporto fra insegnante curricolare e
insegnante di sostegno, e fra insegnante di sostegno, genitori e alunni. È un
discorso meno semplice di quello che sembra.
Prima di tutto, sarebbe bene spiegare ai genitori e
ricordare a tutti quelli che lo avessero dimenticato – colleghi, insegnanti di
sostegno stessi - che cosa significa essere un” insegnante di sostegno”.
Trascrivo qui – per comodità di tutti- quello che si legge nella pagina dell’URP del
Ministero dell’Istruzione (metto in grassetto espressioni che ritengo
particolarmente utili):
"Chi è il docente per il sostegno?
L’insegnante per le attività di sostegno è un insegnante
specializzato assegnato alla classe dell’alunno con disabilità per favorirne il
processo di integrazione. Non è pertanto l’insegnante dell’alunno con
disabilità ma una risorsa professionale assegnata alla classe per rispondere
alle maggiori necessità educative che la sua presenza comporta. Le modalità di
impiego di questa importante (ma certamente non unica) risorsa per
l’integrazione, vengono condivise tra tutti i soggetti coinvolti (scuola,
servizi, famiglia) e definite nel Piano Educativo Individualizzato.
Quali sono i compiti dell’insegnante di classe rispetto
all’integrazione degli alunni con disabilità?
Ogni insegnante ha piena responsabilità didattica ed
educativa verso tutti gli alunni delle sue classi, compresi quindi quelli con
disabilità. Dovrà contribuire alla programmazione e al conseguimento degli
obiettivi prefissati, didattici e/o educativi, e sarà chiamato di conseguenza a
valutare i risultati del suo insegnamento. […]"
Quindi: l’insegnante di sostegno è un insegnante come tutti
gli altri, al quale viene assegnato il compito di dare il suo aiuto alla classe
in cui si trova un certo alunno – chiamiamolo Giovannino - che ha una qualche
disabilità. “Non è pertanto l’insegnante dell’alunno con disabilità”.
L’alunno con disabilità, infatti, è un alunno che è “alunno
di tutti gli insegnanti”. È un alunno che deve essere aiutato (gestito, se ha
problemi di comportamento, o aiutato con ulteriori spiegazioni a seguire il
percorso dei compagni o un percorso personalizzato secondo le sue possibilità)
non solo dall’insegnante di sostegno, ma da tutti gli insegnanti.
L’alunno con disabilità fa parte della classe come gli
altri, e se non è facile da gestire è per questo che ha un insegnante di
sostegno: ha bisogno di essere aiutato a vivere insieme agli altri. È evidente,
quindi, che non si deve dire all’insegnante di sostegno “portalo fuori”, come
se il collega fosse quello che toglie il problema togliendolo dalla vista. Se
l’alunno è difficile - troppo difficile- da seguire in classe bisogna trovare
(tutti insieme, compreso il dirigente!) delle strategie per aiutarlo.
La parola da tenere sempre presente a scuola è “inclusione”,
che è il contrario di “esclusione". Gli insegnanti –tutti- hanno il dovere
di accettare, accogliere, fare sentire a proprio agio ogni alunno: gli alunni
che non hanno difficoltà e quelli che le hanno. Mandare sistematicamente fuori
(in tutti i sensi) i ragazzi che hanno delle difficoltà nello studio, o quelli
che tengono un comportamento difficilmente gestibile, significa escludere.
Lo spiego ai genitori, perché gli insegnanti lo sanno già (e
dovrebbero ricordarlo).
Tutti gli insegnanti devono sentirsi responsabili
dell’alunno per il quale è stato assegnato alla classe l’insegnante di
sostegno.
Ma è sempre così? Secondo la mia esperienza, no.
Lo ricordo a quella certa percentuale di insegnanti
curricolari che sembra averlo dimenticato:
-l’insegnante di sostegno non è il vostro galoppino e perciò
non lo mandate di qua e di là a fare fotocopie o altro. Gli altri alunni
guardano e si convincono che quell’insegnante non è importante come voi;
- non rivolgetevi all’insegnante di sostegno come se fosse
il vostro segretario, altrimenti lo faranno anche gli alunni;
- non rivolgetevi all’insegnante di sostegno come se
parlaste con un subalterno che non rispettate: ha studiato come voi, ha fatto
lo stesso percorso per laurearsi e per essere assunto (a volte perfino di più).
Se lo trattate con poco rispetto insegnerete agli alunni a fare lo stesso. Se
avete qualche osservazione da fargli fatelo in separata sede (E voi, insegnanti
di sostegno, non abbiate paura di cantarle all'insegnante che vi tratta male,
specialmente se lo fa davanti ai ragazzi);
- se un alunno manca di rispetto all’insegnante di sostegno
non lasciate correre come se fosse poco importante: reagite; accettare che
venga deriso vi rende complici, e dimostra che non siete buoni insegnanti;
- l’insegnante di sostegno deve aiutare il bambino con
disabilità dentro la classe, non fuori. Solo ogni tanto, se c’è bisogno di
rinforzare un atteggiamento, il consiglio di classe può decidere di farlo
uscire dalla classe, per facilitare l’acquisizione di comportamenti o di
capacità che sono necessari per una piena integrazione nella classe;
- l’insegnante di sostegno non è l’insegnante privato di
Giovannino e perciò, quando Giovannino vi chiede qualcosa, rispondetegli, non
dite “Chiedilo al professore”.
- quello che l’insegnante di sostegno fa con Giovannino deve
essere concordato con voi: non lavatevene le mani.
- l’insegnante di sostegno è stato assegnato alla classe
perché c’era Giovannino. È vero che viene assegnato alla classe, ma
principalmente perché aiuti Giovannino, non perché voi gli “affibbiate” (uso di
proposito questo termine) tutti gli alunni difficili della classe, e anche gli
alunni con disturbo dell’apprendimento.
Un alunno con DSA è un alunno “che ha disturbi specifici
dell’apprendimento”; DSA non significa che ha bisogno del sostegno di un
insegnante. Ha bisogno di strumenti compensativi (che lo aiutano dove ha
difficoltà, come per esempio l’uso di un PC, di una calcolatrice, di programmi
con correttore ortografico, ecc.) e di strumenti dispensativi (che prevedono
che non venga loro richiesta l’esecuzione delle attività che risultano troppo
difficili per lui: si concede loro più tempo a disposizione per svolgere il
compito, si assegnano meno esercizi o compiti più brevi, ecc.). Per il resto,
un alunno DSA deve fare da solo. “Affibbiare” all’insegnante di sostegno
l’alunno DSA, quegli altri due che disturbano o quelli che hanno bisogno di
fare esercizio vuol dire togliere del tempo a Giovannino, e questo non va
assolutamente bene.
Che ci siano insegnanti che dicono che "non capiscono
molto di DSA" è davvero inqualificabile. E il fatto che lo dicano senza
vergognarsi dimostra che ritengono giustificata la loro impreparazione. Chi non
è preparato sull’argomento ha il dovere di studiare! Una volta a me è capitato
un collega che mi ha detto con tutta semplicità che “questa storia dei BES e
dei DSA è tutta una stupidaggine. Sono sigle che si sono inventati al ministero
per far contenti i genitori.” Vi risparmio quello che gli ho risposto, ma
potete immaginarlo.
Ma se l’insegnante di sostegno è un insegnante come tutti
gli altri – e ora mi rivolgo a quelli, fra loro, che sembrano non saperlo – ha
il dovere di essere preparato come gli altri. E anche questo – devo dirlo – non
è sempre così. Premetto che nella mia carriera ho conosciuto molti validissimi
insegnanti di sostegno, ma altri erano totalmente impreparati e perfino
inadatti. Di solito erano quelli che avevano scelto il sostegno per ripiego.
Allora, a loro dico: avete il dovere di studiare. Non è accettabile che voi –
che siete insegnanti come tutti gli altri- pensiate di seguire un alunno che ha
delle disabilità improvvisando, chiedendo all’insegnante della materia “Che
cosa devo fare?”, o dichiarando “Inglese non posso farlo perché non lo so”.
Studiate quello che non sapete, preparate del materiale (degli esercizi, dei
testi, delle attività) studiandolo apposta per il caso di cui dovete occuparvi.
Avete il dovere di darvi da fare, perché siete stati assunti per aiutare quel
certo bambino o ragazzo, che conta su di voi. La sua famiglia conta su di voi.
Diciamo pure che dovete mettercela tutta perché quel bambino ha delle
difficoltà in più rispetto agli altri e ha più bisogno di aiuto.
E mi rivolgo ai genitori dei bambini e ragazzi che hanno
sostegno.
Cari genitori, l’insegnante di sostegno di vostro figlio non
è il suo insegnante privato, e voi non avete il diritto di versare su di lui
tutta la vostra ansia. Non deve essere sempre a vostra disposizione: non
telefonategli continuamente; non mandategli messaggini anche a mezzanotte con
richieste varie; non pretendete che diventi il segretario di vostro figlio, che
gli segni i compiti, che gli scriva anche quello che potrebbe scrivere da solo.
Lo scopo principale dell’insegnante di sostegno è quello di far diventare il
bambino il più possibile autonomo. "Autonomo" significa che riesce a
fare da solo. Lasciate che decida l'insegnante come aiutarlo. E non lo
criticate perché non fa miracoli.
L’insegnante di sostegno è un insegnante come gli altri.
Nessuno di noi può fare dei miracoli.
Cara Marina, l’insegnante di sostegno non deve sentirsi in
obbligo di aiutare tutti. A volte è molto utile che il ragazzino che devi
seguire sia inserito in un piccolo gruppo, con altri bambini in difficoltà, ma
se questo significa togliere a lui tutto il tempo, non lo devi fare. Non c'entrano i voti, Marina. C'entra l'idea
che si ha dell'insegnante di sostegno.
Arrabbiati pure con l'insegnante che ti tratta come se fosse
superiore a te. Non lo è! Diglielo.
Anzi, stampa questo post e mettiglielo nel cassetto.
La Prima parte è qui