Chi mi legge da tempo sa che cosa
penso degli extracomunitari. Chi mi legge da poco, può trovare il link ad
alcuni post, che gli permettono di conoscere il mio pensiero. Tanto per evitare malintesi.
Stamani, al bar, al tavolo accanto a quello dove mi
stavo godendo un succo all’ananas senza zucchero, una anziana signora infuriata
raccontava ad un’amica qualcosa. Non si dovrebbe ascoltare, ma era impossibile,
data la vicinanza dei tavoli e il volume della voce della signora. Raccontava
che sua figlia era stata in Marocco e lì “non ci si può mica vestire così come
siamo vestite noi, con le maniche corte. Nossignori. Bisogna vestirsi coperti.
Ah, ma mia figlia glielo ha detto: però voi quando venite in Italia fate il
vostro comodo! Qui loro sono i padroni: vai sul pullman e non puoi passare e
non puoi sederti perché ci sono loro con i loro sacchi; vai al parco per sederti
un po’ e ci sono loro sdraiati sulle panchine. Ma scherziamo? Vengono a
comandare a casa nostra? E quando si è mai vista una cosa del genere? “ Ogni
tanto si fermava, la sua amica diceva “Eh, sì!”, lei scuoteva la testa, e poi
continuava: “A noi la casa non la danno. A loro invece gliela danno subito. All’ospedale
ci passano davanti perché sono stranieri o zingari. E chissenefrega? Prima tocca
a noi, che siamo italiani. Perché devono passare prima loro, scusa? Non pagano
neanche le tasse! Ah, ma io spero che un giorno ci buttino fuori dalle nostre
case e ci si mettano loro. Tanto ci arriviamo, prima o poi! Ci sono anch’io, ma
voglio proprio vedere…E di chi è la colpa?”. A questo punto l’amica interviene
perché conosce la risposta: “ma del governo, no?”. Poi continua lei: “E guarda
che non sono razzista, eh? Te lo giuro!”.
A questo
punto il mio succo all’ananas era irrimediabilmente finito e me ne sono andata.
Ma è stato interessante.
Ecco: non è razzismo, questo. Non ha nulla a che
vedere con il razzismo. È insofferenza verso una situazione che, per la paura
di discriminare gli extracomunitari o i nomadi, alla fine discrimina gli
italiani.
“Se il senegalese che si trova in treno seduto davanti a me in questo
momento, elegante, con tanto di portatile, si dà una soffiatina al naso senza
fazzoletto e poi si pulisce la mano destra sui pantaloni, tranquillamente e apertamente,
come se fosse la cosa più naturale del mondo, dico la verità, non apprezzo la
diversità: mi irrita parecchio. E non è perché ha la pelle nera o perché non
sono abbastanza favorevole all’integrazione e non apprezzo la diversità, ma
perché mi hanno insegnato fin da bambina che non ci si soffia il naso con le
mani. Fa schifo, non si fa proprio.”
Le persone che seguono le regole non sopportano
quelle che non le seguono. Non sopportano chi passa avanti, chi mette la
macchina davanti al passo carrabile, chi non paga il biglietto sul pullman o
sul treno, chi si sdraia sulle panchine del parco e non lascia il posto agli
altri.
Chi rispetta gli altri non sopporta chi tiene la
musica a tutto volume, chi ruba le margherite dalle fioriere, chi suona
insistentemente il clacson.
Quelli che
hanno ricevuto un’educazione che comprendeva le regole del galateo, non
sopporta chi sputa, chi si mette le dita nel naso, chi non si lava e puzza, chi
rutta, chi parla in un’altra lingua per non farsi capire, chi non fa sedere le
donne incinte e le persone anziane, chi urla per strada o dalla finestra, chi
salta la fila, chi sporca, chi mette i piedi sulle panchine, chi beve una birra
e lascia la bottiglia in terra, per strada.
Non importa se sono bianchi, neri, italiani,
stranieri, extracomunitari. Non è affatto una questione di razzismo. La
maleducazione, l’invadenza, il menefreghismo non sono razze. Il fatto che i pullman
o le panchine siano pieni di africani che occupano posti anche quando non
pagano il biglietto porta la gente a semplificare dicendo che “quelli non
pagano e stanno seduti”. Ma si riferiscono a quelli che seguono le loro regole
invece che seguire (per rispetto) quelle del Paese che li ospita. Conosco molte
persone compresa me) che fanno amicizia con africani, e li aiutano in tutti i modi, anche se
sono “vucumprà”. O con badanti rumene, o con muratori albanesi.
Non è
razzismo, quello di chi protesta. È ribellione contro quella che vive come una
discriminazione: se allo straniero clandestino non si può far pagare il
biglietto o la multa, gli altri vedono questo come un’ingiustizia. Bisognerebbe
che si tenesse conto dell’insofferenza della gente. Che si permettesse di
esprimerla, senza essere accusati di razzismo.
E,
soprattutto, bisognerebbe che si trovasse il sistema di far seguire le regole a
tutti, anche agli extracomunitari. Solo così si potrebbe arrivare alla vera
integrazione.
Tutto questo voleva dire quella signora,
quando ha detto “E guarda che non sono razzista, eh? Te lo giuro!”.
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